Per cambiare, è il popolo a scegliere o i soliti noti?

25 febbraio 2008

C’è una cosa peggiore della mancanza di democrazia: la parvenza di essa! Sarebbe come dire che a muovere le fila della cosa pubblica, siano sempre gli stessi, autoimposti, attorniati da gente plaudente, convinta di averli designati. Viene da chiedersi come sia possibile che ciò accada. Di norma, è difficile ingannare il popolo, ma è pur vero che la necessità ottunde anche la coscienza e la consapevolezza collettiva. Ora, accade che si tenta di dare le connotazioni di una scelta democratica, cioè condivisa dalla maggioranza degli appartenenti a questa o quella coalizione o partito che sia, nella designazione dei candidati alla prossime politiche di aprile. Di fatto, si perpetra una sorta di truffa politica dove si ammanta di condiviso ciò che è frutto di scelte opportunistiche, personali e di vertice. In pratica, si fa passare per corretto ed ineccepibile ciò che assolutamente non lo è. Il Partito Democratico apre ampie consultazioni, interroga gli iscritti ed i simpatizzanti… per sentirsi dire… ciò che in altro ed alto loco è stato già ampiamente deciso! Che le ideologie e le appartenenze siano cadute da tempo, non v’era dubbio ma che i metodi usati da ambedue gli schieramenti fossero sovrapponibili… questa poi! C’è una grande dissonanza tra ciò che la gente chiede e quello che la politica è in grado di dare. Non andiamo lontano. Guardiamoci intorno. La gente, con una dignità tutta italiana, fa fatica a sbarcare il lunario e torna a casa con la borsa della spesa sempre più vuota. Non ce la fa a pagare il mutuo di casa e ricorre sempre più al credito bancario. È tornato, per così dire, di moda il Monte di Pietà: i ricordi di famiglia si impegnano ormai per non morire letteralmente di fame. In cotanta miseria, il potere amministrativo di una certa parte politica si permette di sperperare in feste, festini ed iniziative camuffate da una cultura di basso profilo: in un Paese normale, quale oggi l’Italia non è, ci si aspetterebbe una reazione della controparte. Una reprimenda tenace. No! No!! In nome del consociativismo, dalle nostre parti, arrivano anche i complimenti… del Governo!! L’Italia è sull’orlo della recessione. L’economia è in crisi. L’etica è un optional. Il malcostume impera nelle Istituzioni e gli interventi della Magistratura si abbattono su una classe politica in evidente stato di decomposizione. Come si reagisce a tutto questo? Passando di elezione in elezione e sperando neI nuovo che avanza! E per farlo avanzare, si usano vecchi e malandati metodi che non riescono ad ingannare se non chi ha il sensorio obnubilato dal bisogno. Bisogno di potere e quindi eccolo, pronto ad abbassare il capo, obbedire in cambio di un posto al sole, o bisogno reale, quello di arrivare alla quarta settimana del mese, ancora con qualche euro in tasca per le più semplici delle necessità. Nel primo caso, il protagonista è il cortigiano, colui che non ha mai brillato di luce propria, un mediocre al quale se togli l’incarico politico, mai conquistato ma concesso, non resta che il nulla; nel secondo, è il cittadino che nella speranza di qualche briciola, di un posto sicuro, di un favore, non solo non ti nega il consenso, ma te ne cerca anche altri. Nell’un caso e nell’altro, non v’è né democrazia, né libertà. Né per chi andrà ad amministrare e comandare, né per chi sarà amministrato e comandato. Non v’è soddisfazione in una vittoria senza competizione. Come non v’è appagamento in una conquista, sia pur vitale, ottenuta per favore. Il centro sinistra, ai cui ideali da sempre mi sono ispirato, dando i natali al Partito Democratico, aveva riacceso in me la speranza in una politica a favore della gente, della correttezza, della buona amministrazione. Ma come posso io credere, ed anche mediare consensi, per chi, confezionando atti che della democrazia non hanno nemmeno il profumo, perpetua imposizioni e nomi già visti e rivisti, la cui sola peculiarità è quella di essere privi di proprie idee, ma fedeli, fedeli e solo fedeli??? E se poi si ragiona sul fatto che queste, cosiddette, democratiche consultazioni, che nulla hanno a che vedere con le “primarie vere” (tanto propugnate e propagandate), altro non sono che la legittimazione di scelte di vertice che si consolideranno in vere e proprie nomine parlamentari, tante volte neppure espressioni del territorio – come vorrebbe la logica – allora mi viene da dire che a votare, questa volta, proprio non ci andrò, e con me tanti altri. Qualunquismo? Rinuncia alla lotta? Tutt’altro. Il voto è la massima espressione della democrazia. Ma solo quando questo è libero. Che libertà ho io di votare per tizio o per caio? Nessuna. Ha già deciso per me il Partito. Per nominare non occorre il mio voto. Per eleggere, se mai.

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