Locri, capitale dell’identità calabrese, testimone della tempra del Sud

29 maggio 2011

Quando ci coglie, talvolta inaspettato, un grande dolore, due sono le vie della umana risposta. Una, facile, sia pur destruente, è quella del rinchiudersi in sé stessi domandandosi, inutilmente, il perché e magari prendendosela con il mondo intero, ritenendolo responsabile dell’accaduto. Ci si chiude agli altri, talvolta con un irrazionale rancore. Ci si isola. Si sceglie la via del vegetare, anziché vivere. Si sta tra una forma di espiazione ed una di domanda: perché a me? La seconda via è quella più difficile. È quella del comprendere che siamo uomini e come tali soggetti al volere del destino. Che sia governato da Dio, secondo i credenti, o dal caso, per chi fede non ha, poco importa. Ciò che vale è il comprendere che ciò che succede, o ci succede, nella maggior parte dei casi non dipende, né dal nostro libero arbitrio, né dall’essere noi buoni o cattivi, ricchi o poveri, saggi o ignoranti. Accade e basta. È inevitabile. Fortunatamente, non sempre. E quando lo si comprende e conseguentemente lo si accetta, si diventa diversi. Si guarda al resto del mondo come, prima, non si era mai fatto. Non è semplice. Bisogna avere una forza interiore consistente, una carica morale, etica e civile di immense dimensioni. Proporzionali al dolore che si è provato. Noi uomini e donne di Calabria abbiamo nel nostro DNA altro che geni temprati, tante sono state nei secoli le asprezze, le violenze subite. Umane, dalle guerre alle invasioni, divine, dai terremoti alle alluvioni. Angelo ed Antonella Esposito, due calabresi della nostra Locri hanno scelto la seconda via. Annientati dalla perdita drammatica del loro unico figliolo quindicenne, appena affacciatosi alla vita cosciente, hanno rivoltato come un calzino il loro dolore, facendolo diventare immenso amore per la loro gente, per i coetanei di Simone e per l’esaltazione dei valori di cui la terra madre della Magna Graecia è sempre stata portatrice, a dispetto delle insolenti e mai gradite presenze malavitose. Di questo è capace il tessuto vero della Calabria. Il premio letterario, a Simone intitolato, ha trovato, ieri sera nell’auditorium della cultura di Locri, il suo terzo epilogo. Se dovessi usare, giornalisticamente, una sola parola, potrei solo scrivere: commovente. Ma sarebbe ben poca cosa. Esaltante e, soprattutto, orgogliosamente ricca di alti significati era l’atmosfera che si respirava. È valsa la pena affrontare i pericoli della stramaledetta statale 106, emblema della pochezza della classe politica reggina di tutti i tempi e di tutti i colori, per essere presente. Ho incontrato una comunità coesa, che ha abbracciato e riconosciuto come suoi i due genitori sfortunati, e gli si è stretta a fianco forte, con amore. C’erano tutti. Proprio tutti. Dal Sindaco neo eletto, non a caso in una lista civica, Lombardo, all’Arcivescovo Fiorini Morosini. Presenti dal primo all’ultimo minuto. Circostanza eloquente. C’era un gran numero di persone, tutte di alto profilo,che sotto diversa forma, hanno reso possibile un miracolo umano tra solidarietà, amicizia, lavoro di gruppo, appartenenza. Si è toccata con mano la vera identità calabrese. Non quella che taluno si ostina ad attribuirci, magari per vendere qualche copia in più del suo giornale. Non quella che ormai tutti aborriamo e sconfessiamo coi fatti. Quella, cioè, di un popolo condannato ad essere sempre e comunque padre, figlio e fratello della ‘ndrangheta, ma quella che ci vede quale Terra guida della cultura, qui nata e diffusa in tutto il mondo, nella notte dei secoli. Locri è e rappresenta l’identità calabrese. Quella vera. Comune a tutte le città e cittadine di questo estremo lembo del Sud dell’Europa. Uomini e donne come Angelo ed Antonella, capaci di risorgere, e porsi alla guida spirituale di una sorta di rivendicazione culturale ed identitaria della Calabria, usando le sacre armi della cultura, dimostrano di incarnare il vero spirito bruzio. Noi siamo con loro. Ci siamo battuti e ci batteremo per chi non si isola, non si accontenta, reagisce e non si defila. La battaglia è nobile ed è in salita. Ma laddove vi sono difficoltà, sulla via in salita, si incontrano gli uomini migliori. I coniugi Esposito, hanno perso il loro bene più prezioso e tornando a casa, ieri sera come tutte le altre sere della loro vita, non troveranno più Simone, come ha detto con un nodo in gola l’Arcivescovo di Locri, ma sanno bene che, non un figlio avranno d’ora in poi, ma tanti, tanti fratelli che guardando negli occhi Simone, nella foto che campeggiava sul palcoscenico, si riconosceranno in lui e nel loro esempio. Simone ha parlato ieri sera. A tutti. Lo ha fatto attraverso le struggenti note del suo amico Gabriele e del suo meraviglioso violino. Ci ha detto che Lui è con noi!

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