Due mondi, ma è sempre Calabria!

20 gennaio 2016

Non ho alcun dubbio che la vita, altro non è, che un’altalena di bello e brutto, buono e cattivo. Un continuo dividersi tra cose che ti fanno piacere ed altre che, a dir poco, ti irritano. Alla fine, é sempre un bilancio che finisce in pareggio. Col risultato, però, che le cose positive, si dimenticano mentre quelle negative lasciano il segno. È il ciclo delle cose umane. In questi giorni, il negativo è rappresentato dalla rabbia e dalla chiara impotenza a poter fare qualcosa per impedire che episodi come quello accaduto al magistrato Nicola Gratteri, turbino la coscienza personale e popolare. ll dover assistere allo scontro tra il bene e d il male, sopratutto dove il male si presenta vigliaccamente, protetto dall’anonimato, avendo peraltro scelto come obiettivo vittime indifese e vulnerabili, più che per se stesse per chi è a loro legato da vincoli di sangue e quindi da forte affetto. Episodi che non fanno altro che aumentare la fama negativa del nostro territorio, ricco di cultura, bellezza ed onestà, ma con una presenza inquinante di una percentuale, bassa si, ma significativa, di malaffare, ‘ndrangheta e mafia. Presenza accentuata da un fenomeno di manzoniana memoria che vede untori di peste dappertutto. Anche dove non ci sono! Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Chi non lo sa? Soprattutto se la moneta è diversa. E quindi appare il positivo. Ad una Calabria negativa fatta di pochi ma pericolosi individui, se ne contrappone una migliore. Seria, volitiva, pulita. E non sono uomini a presentarla, ma bambini. Uomini di domani. Il bello si presenta dove solo chi non conosce la nostra terra, non lo va a cercare. Su un palcoscenico di un teatro dove a reggere il sipario c’è un esile filo sul quale scorre, a mano, una tenda rossa, da “nuovo Cinema Paradiso”. Siamo nel piccolo e ordinato centro di Ortì. Rumori, bambini a profusione, in una platea appena riscaldata, in una sera nevosa. Tanta brava gente,felice di vederti e di poterti offrire qualcosa che li rappresenta, che a loro appartiene. I cartelloni colorati annunciano che la stagione finisce con la rappresentazione di una commedia giocosa. Un po’ in dialetto, molto in italiano, moltissimo in gesti e sceniche movenze, da attori consumati. Parti imparate bene, a tal punto da conoscere quelle degli altri e bocche pronte a suggerire al compagno in difficoltà. Diversità, anche nelle fattezze, ma assolutamente non messe in evidenza, anzi esaltate in positivo. Ogni difetto, anche inventato, diventa un pregio. Incredibilmente, per chi non conosce le origini della nostra Terra di Calabria, sul palcoscenico, bambini in età compresa tra i cinque e i dieci anni o poco più, recitano talmente bene, da suscitare oltre ilarità per le battute argute, talvolta pure improvvisate, anche una vera commozione fino alle lacrime. Lacrime di gioia, semplice miste ad una immensa ammirazione. Quei piccoli uomini del domani, truccati, vestiti a dovere, continuano a recitare imitando i grandi ed aggiungendo molto di fanciullesco prezioso, sottolineando talvolta con grande arguzia, nei gesti, più che nelle parole del copione, la stupidità degli adulti che mirano più all’apparenza che alla sostanza degli uomini e dei loro difetti. “A’ famigghia difittusa” dimostra ancora una volta che l’amore supera ogni ostacolo anche fisico. Omnia vincit amor, la celeberrima frase di Publio Virgilio Marone, verrebbe sicuramente in mente a Pasquale Caprì, nell’imitarmi. Quel che conta è che, ad una Calabria, dove la ndrangheta imperversa, se ne contrapponga una, vincente, dove il Dna culturale positivo si manifesta attraverso la voce dei nostri bambini, uomini del domani, che ci lasciano ben sperare. Nessuno di loro andrà ad impinguare le fila della malavita. Chi oggi imbraccia strumenti di pace e frequenta luoghi di cultura come i teatri, non imbraccerà mai strumenti di odio, né frequenterà luoghi di perdizione sociale. Di fronte ai bambini, alla gente di Ortì, a tutti coloro che hanno reso possibile questa grande lezione di vera calabresità, noi chiniamo il capo, in segno di riconoscenza ed ammirazione. È l’unico inchino che sappiamo fare oltre quello di fronte alla Legge. Degli uomini giusti e di Dio.

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